L’approccio di fondo dell’Amount B mira a semplificare la determinazione della remunerazione infragruppo per le attività definite di baseline distribution e potrebbe rappresentare una sorta di “safe harbour“, mettendo cioè i gruppi multinazionali al riparo da contestazioni dell’amministrazione finanziaria sui prezzi di vendita ai propri distributori correlati
Nella recente consultazione pubblica in tema di tassazione dell’economia digitale e conseguenti modifiche alla disciplina dei prezzi di trasferimento (c.d. “Pillar one”), l’OCSE ha chiesto ai commentatori se l'”Amount B” sia applicabile anche ai rivenditori al dettaglio, c.d. retailers (vedasi il documento OCSE 8.12.2022, preordinato, all’esito della consultazione, ad entrare in vigore dal 2024).
L’approccio di fondo dell’Amount B mira a semplificare la determinazione della remunerazione infragruppo per le attività definite di baseline distribution e potrebbe rappresentare una sorta di “safe harbour“, mettendo cioè i gruppi multinazionali al riparo da contestazioni dell’amministrazione finanziaria sui prezzi di vendita ai propri distributori correlati.
Infatti – come si desume pure dalle sentenze nel seguito esaminate – i rapporti tra capogruppo e consociate distributive estere risultano non di rado oggetto di verifica erariale.
Se l’applicazione dell’Amount B alle entità locali che operano all’ingrosso è fuori discussione, alcuni dubbi rimangono per i soggetti che operano come agenti o commissionari, da un lato, e come retailers, dall’altro.
Questi ultimi svolgono funzioni generalmente differenti rispetto ai soggetti che operano all’ingrosso, tant’è che di regola vengono effettuate distinte analisi di benchmark.
Tuttavia, nella prospettiva di semplificazione e di evitare contestazioni del fisco, secondo quanto previsto nell’Amount B, la relativa remunerazione potrebbe essere predeterminata, stabilendo ex ante un apposito livello di margine operativo.